Il diabete

Il Diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio (zuccheri) nel sangue, definita anche iperglicemia cronica, che si manifesta quando l’organismo non è in grado di produrre una quantità adeguata di insulina, l’ormone prodotto dal pancreas che è necessario per metabolizzare gli zuccheri.

Normalmente, nelle persone senza diabete, il cibo ingerito viene “trasformato” in glucosio, aminoacidi e lipidi, che entrano poi nel flusso sanguigno. L’insulina permette al glucosio di essere assorbito dalle cellule per essere poi utilizzato come fonte di energia.

Quando l’azione dell’insulina viene meno, il glucosio si accumula nel sangue provocando “l’iperglicemia cronica”, condizione che può danneggiare occhi, reni, cuore, vasi sanguigni e nervi periferici, tanto da aumentare notevolmente il rischio di disabilità e di mortalità.

Al contrario, se curato, il diabete permette di condurre una vita del tutto normale, anzi consente di vivere meglio degli altri proprio grazie ad una alimentazione consapevole e ben bilanciata e alla regolare attività fisica.

 

Breve storia del diabete

La parola “diabete” deriva dal greco “sifone o fontana”, “mellito” invece significa “dolce come il miele”, rifacendosi alla presenza di zucchero nelle urine.

Il Diabete Mellito è una malattia conosciuta fin dall’antichità: gli egiziani la citano in un papiro che risale al 1550 a.C., mentre la medicina tradizionale indiana,  già nel V secolo d.C., descrive due tipi di diabete, uno che colpisce, ad ogni età, persone magre ed un altro comune nelle persone sovrappeso.

A lungo nella storia della medicina si pensò che il diabete fosse una malattia renale; Thomas Willis, un medico inglese, nel 1679 descriveva come “magnificamente dolci” le urine dei pazienti diabetici, ma solo a fine del 700, un medico di Oxford osservò per primo che anche nel sangue dei diabetici c’erano alti livelli di zucchero.

Nel 1869 Paul Langerhans scoprì che all’interno del pancreas c’erano dei gruppi di cellule, (poi appunto chiamate “Isole di Langerhans”) che, se danneggiati, sviluppavano una situazione simile al diabete.

 

Nel 1889 e a Strasburgo due ricercatori Von Mering e Minkoswki nel tentativo di stabilire l’importanza del pancreas nella digestione, pensarono di togliere l’organo a un cane e dopo l’intervento osservarono che le urine del cane erano piene di zuccheri come quelle di un diabetico così i due ricercatori  scoprirono che il pancreas, produceva una secrezione indispensabile per l’utilizzo dello zucchero da parte dell’organismo e di conseguenza ipotizzarono che il diabete, anche nell’uomo, era dovuto a un difetto nel funzionamento del pancreas e in particolar modo della sua secrezione endocrina.

Da allora tutti gli sforzi dei ricercatori si indirizzarono ad individuare l’estratto pancreatico che fosse in grado di curare il diabete, che fino ad allora era considerata una malattia incurabile.

Così nel 1921 i canadesi Banting e Best isolarono l’insulina e la iniettarono a cani resi diabetici, un estratto di pancreas degenerato in soluzione, che nel 1922 venne somministrato per la prima volta anche su un uomo: Leonard Thomson. Data la natura ancora sperimentale di questa “insulina ante litteram”, Thompson fu soggetto a una reazione allergica e gli effetti del farmaco furono parziali. Venti giorni dopo al ragazzo fu somministrata una dose di insulina pura, estratta dal chimico James Collip, trattamento che lo portò a una ripresa dal suo stato. Il giovane Leonard Thomson nel 1922 è passato dunque alla storia come il primo diabetico curato con l’insulina; dopo alcuni anni l’insulina fu posta in commercio e ad essa devono la vita milioni di persone.

Mentre per il trattamento per via orale del diabete tipo 2 non insulino-dipendente bisogna attendere l’immediato dopoguerra.

Nel 1935, Gerhard Domagk (1895-1964) aveva scoperto l’effetto anti-batterico delle sulfamidi o sulfoniluree (sulfamidici).  Nel 1942, Auguste Loubatières provoca, con una sola somministrazione orale del sulfamidico, in un cane a digiuno, una marcata e persistente ipoglicemia. L’effetto ipoglicemizzante si ripete in altri animali e, poiché non si verifica nel cane privato del pancreas, Loubatières pensa subito che il sulfamidico determini una liberazione di insulina endogena.. Occorrerà però attendere fino al 1955, perché le sulfamidi ipoglicemizzanti dimostrino la loro efficacia nel diabete umano.

Un’altra categoria di ipoglicemizzanti orali si sviluppa nel dopoguerra. L’americano George Ungar (1906-1987) modifica lo scheletro strutturale diguanidinico della Sintalina A e B che, nel 1926, aveva provocato un effetto ipoglicemizzante, ma tossico, nei soggetti diabetici. Le biguanidi al contrario delle diguanidi, sono ben tollerate e riducono la glicemia con complesso meccanismo metabolico periferico. Tra le biguanidi, l’industria produce la fenformina (fenil-etil-biguanide), la butformina (butil-biguanide) e la metformina (dimetil-biguanide).

In Italia, il primo ipoglemizzante orale è introdotto dalla Guidotti, nel 1962 (Bidiabe).